Passeggiando per le rue – strette vie della città simili a rughe sulla pelle – è possibile incontrare le botteghe in cui i mastri ceramisti mostrano con orgoglio manufatti plasmati fra tradizione e innovazione. Non è raro nemmeno imbattersi nei loro laboratori disseminati di argilla, pennelli, colori e grossi forni! Questa forma d’arte affonda le sue radici in un lontano passato, e di certo nel corso dei secoli non si è sviluppata su un terreno arido, visto che nel 2001 Ascoli Piceno è stata riconosciuta dal Consiglio Nazionale Ceramico una zona di affermata tradizione ceramica.
A tal proposito mi hanno sempre affascinato le parole di Emidio Luzi che in un saggio asserì: “L’industria ceramica nei tempi antichi non dovè mancare entro questa città, essendosi dissotterrati in più contrade di essa pozzi e fornaci con avanzi di vasi, coppe lavorate al tornio, lumi e fusaiole letterate con la marca del fabbricatore”. Testimonia un’attività tanto radicata quanto diffusa anche la lunga schiera di edifici sacri che sulla facciata presentano delle croci greche composte da cinque bacini ceramici. Il nome del più antico vasarius di cui ci sono giunte tracce? Un certo Bongiovanni il cui figlio venne citato nel Catasto del 1381 come Mactheus Boniohannis vasarii. Questo mestiere visse un periodo particolarmente fecondo a partire dal XVI secolo, quando iniziò ad affermarsi la più raffinata arte ceramica. Dai documenti dell’epoca emerge, per l’appunto, che era sempre più capillare l’uso di piombo fuso, stagno e sostanze ottenute dai mulini destinati “ad macinandum colores detto da vasa”. Nel Seicento le fornaci dei vasai ascolani non si spensero del tutto, ma iniziarono a diffondersi prepotentemente manufatti provenienti da Deruta e Castelli. Fu l’abate Valeriano Malaspina a determinare nel 1787 la rinascita dell’industria ceramica ascolana, grazie all’impianto di uno stabilimento nel monastero di Sant’Angelo Magno.
Per scoprire gli sviluppi evolutivi di questa forma d’arte, vi consiglio una visita al Museo dell’Arte Ceramica, inaugurato nel 2007 e situato accanto alla chiesa romanica di San Tommaso. Nei chiostri e nei suggestivi spazi attigui, racchiusi in teche che evocano elementi decorativi di antichi portali, sono conservati i manufatti di proprietà comunale insieme a quelli concessi in deposito dalla famiglia Matricardi e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno. Il museo è suddiviso in cinque sezioni che raccontano le varie fasi produttive della tradizione ceramica nella città delle cento torri. Il percorso espositivo è stato concepito per ammirare con completezza narrativa un patrimonio ricchissimo che va dai bacini in maiolica arcaica risalenti al XV secolo fino alle maioliche dell’Otto e Novecento. Scandiscono le sale una processione di vasi, piatti, urne, caffettiere e servizi da tè realizzati dalla manifattura Paci (1808-1856), dalla manifattura Matricardi (1920-1929) e dalla fabbrica F.A.M.A. (1930-1977). Davvero prestigiose sono le mattonelle dipinte da artisti castellani come Berardino Gentili, Francesco, Antonio Anselmo e Carlo Antonio Grue provenienti dal convento di Sant’Angelo Magno. Nell’ultima sezione, quella dedicata al chirurgo e collezionista ascolano Antonio Ceci, sono invece custoditi piatti di Montelupo, Savona, Faenza e Doccia accanto a gruppi plastici di Meissen e Sèvres.