Avvicinati al doppio ordine di colonne ioniche che dominano lo spazio. A rendere l’atmosfera piacevolmente armonica sono le statue realizzate da Giorgio Paci. Ai lati dell’ingresso alla platea si ergono Apollo e Minerva, il sentimento e la ragione sono i due elementi che guidano la composizione. Mentre li osservo sento della musica danzare intorno alla mia figura, è accompagnata da schiamazzi, grida, risate e battute divertenti: sono le allegorie delle varie arti. Giorgio Paci le ha realizzate in stucco, e per la precisione rappresentano l’Armonia, la Danza, la Commedia e la Tragedia.
Credi di essere pronto? È giunto il momento di lasciarti stordire da una bellezza che oserei definire sfacciata. Prima di accedere, però, guarda al di sopra della porta. Vi è il busto di Luigi Marini. Hai mai sentito parlare di lui? Fu un noto tenore di origini ascolane che calcò i palcoscenici dei teatri più prestigiosi d’Italia.
Bene, ora va’ e goditi lo spettacolo!
La Gran Sala con il loggione e i quattro ordini di palchi ci accoglie in un profluvio di oro e rosso vermiglione, screziato da un distensivo verde acquamarina. Scommetto che il cuore ha fatto una capriola nel petto e gli occhi continuano a vagare animatamente fra un dettaglio e l’altro! Come biasimarli? I decori in stucco che caratterizzano l’ambiente sono stati disegnati dall’architetto Giovanni Battista Carducci, ma l’estrema raffinatezza realizzativa è opera dei fratelli Giorgio ed Emidio Paci che adoperarono degli stampi. Guarda che affascinante contaminazione di stili! Adoro l’alternarsi di motivi neoclassici come i cammei a leoni alati, puttini, festoni, e calligrafici rami di acanto. Chi ha uno sguardo più vigile vedrà alcuni dettagli baluginare con maggiore intensità. L’effetto è riconducibile a delle nuove foglie d’oro applicate in occasione del restauro conclusosi nel 1994. Il primo indoratore invece fu un certo Carlo Carbonari che forse si avvalse di una più economica meccatura. Questa tecnica piuttosto efficace prevedeva l’utilizzo di lamine metalliche ridipinte per simulare l’oro.
Avanziamo lentamente al centro della platea, e accomodiamoci. Devi sapere che il primo sipario storico fu dipinto da Vincenzo Podesti, il quale aveva rappresentato Il trionfo di Ventidio Basso sui Parti. Fu così concepito affinché le persone, imbattendosi subito in questa figura, capissero all’istante il significato del nome preso in prestito dal teatro. Il grande tendaggio che vediamo oggi è invece stato dipinto da Cesare Recanatini nel 1872. Raffigura Piazza del Popolo, abbracciata in maniera scenografica da diversi monumenti che la rendono simile a un accogliente salotto cittadino, dove passeggiare, confrontarsi e degustare delizie locali. L’hai già visitata? Hai notato delle differenze? Te ne indico una soltanto: le garitte al posto dei balconcini. Per tutte le altre ti invito ad aguzzare la vista!
Ma torniamo a noi… ricordi quando all’ingresso ti ho menzionato gli attriti tra l’architetto e i condomini? Bene, un’altra importante modifica che ha determinato la rottura con l’Aleandri riguardò il modo in cui venne realizzata la copertura della sala. Che evento increscioso! Devi sapere che il noto architetto negli altri teatri non aveva mai concepito un tetto piano, e di certo non per una mera scelta estetica. All’epoca, infatti, vi erano diverse scuole di pensiero sulla forma che un plafone dovesse avere per garantire un’acustica impeccabile. Per alcuni doveva essere simile alla pelle tesa di un tamburo. Sta di fatto che l’Aleandri preferiva il soffitto a volta con unghiature bibienesche e, come puoi ben notare, non fu accontentato.
Visto che hai lo sguardo puntato verso l’alto, prosegui l’osservazione. Le decorazioni del soffitto non sono quelle originali eseguite fra il 1840 e il 1850. Il plafone, in una prima fase, era difatti impreziosito da un mirabile dipinto dell’artista anconetano Podesti che purtroppo nel corso degli anni fu gravemente danneggiato dal fumo e dalle infiltrazioni d’acqua. Era il 22 agosto del 1870 quando il consiglio comunale, insieme ai soci palchettisti, decise di avviare i dovuti restauri. Stavolta il compito di ornare il plafone fu affidato al pittore originario di Colli del Tronto Ferdinando Cicconi, il quale effigiò con grazia otto meravigliose Muse incarnate da quattro figure femminili che si avvicendano a quattro puttini. La Commedia, il Dramma, la Tragedia, la Musica, la Poesia e poi ancora la Pittura, l’Architettura e la Scultura sono incastonati su uno sfondo iridescente che seguendo un motivo ad intaglio, crea una magnificente gloria di iris. Nei due pennacchi che dividono il plafone circolare dal boccascena campeggiano due medaglioni con Carlo Goldoni e Giorgio Alfieri. Al di sotto dell’orologio, invece, sono effigiati Giuseppe Verdi, Vincenzo Bellini, Gioacchino Rossini e Gaetano Donizetti, divisi al centro da un rosone che racchiude vari strumenti musicali.
Prima ho nominato l’operazione di restauro del 1994. Torno a parlartene perché vi è un altro aspetto piuttosto interessante che è stato debitamente conservato: il colore azzurrino che caratterizza i parapetti e i palchi. Questa scelta cromatica è davvero unica poiché negli altri teatri in genere prevale il crema e il vermiglio. Qui invece domina questo colore che rende tutto più brillante e armonioso. Non ti pare?
Ora, mio caro ospite, ti mostrerò il secondo ordine. Seguimi, per favore.