FORTE MALATESTA

Colore sfondo lista: Oro #B5974B
Allineamento immagine di copertina: TOP

Caro visitatore, benvenuto nella mia fortezza.

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Voce Narrante: Antonio da Sangallo il Giovane
Interprete: Pino Presciutti

Sono Antonio da Sangallo il Giovane, e ti condurrò personalmente alla scoperta di questo baluardo difensivo. Prima di iniziare la visita, però, lascia che ti racconti in poche battute la sua storia.

Ahimè, il forte oggi non porta il mio nome, né quello del mio committente, papa Paolo III Farnese. La sua immagine maestosa, per assurdo, è abbinata a quella di Galeotto Malatesta che da qui fu cacciato in malo modo. Non fece una bella figura agli occhi degli ascolani! Sì, certo, li aiutò a sconfiggere i fermani, ma poco dopo si rivelò per ciò che era realmente: un tiranno. Quando lo nomino, non tutti si ricordano di lui. Di sicuro era meno famoso di suo fratello, il signore di Rimini e Pesaro: Malatesta III, detto Guastafamiglia. La cosa un po’ mi indigna poiché fino al 1889 questo complesso architettonico era noto ancora come Forte Sangallo.

Galeotto fu signore di Fano e di gran parte del territorio marchigiano. Lo fu anche di Ascoli, quando i cittadini si ribellarono al governatore pontificio. Comunque, chiamato nel 1348 per rivestire il ruolo di capitano generale delle armi cittadinesche, e per condurre le milizie ascolane nella feroce guerra contro Fermo, identificò la fortezza come propria roccaforte. Di certo promosse una ragguardevole operazione di rafforzamento! Come già accennato, riuscì a far soccombere la rivale storica di Ascoli, ma si dimostrò anche un vero e proprio tiranno! Fu autore di un numero spropositato di malefatte! Fra le tante ve ne cito una soltanto: arrivò a far imprigionare il vescovo della città! Eh, proprio per questa efferata arroganza la sua signoria ebbe vita breve!

Nel 1353 gli ascolani riuscirono a cacciarlo via, ma furono necessari ben tre tentativi! Una volta, infatti, la congiura fu spifferata da un tale Lozzo di Ruggero da Cascia, e ai cospiratori fu riservata una punizione atroce. Legati alla coda di cavalli aizzati alla corsa, furono trascinati come monito lungo tutte le vie della città. I corpi vennero poi riportati in piazza Arringo dove, ridotti a brandelli, furono infilzati e issati su delle picche. Il vescovo che aveva assistito a questa ferocia, si recò da Galeotto per maledirlo ma - come vi ho già detto - fu arrestato e condotto proprio qui. 

Questa zona, dopo la dipartita del Malatesta, cadde in abbandono fino al 1501, quando un eremita - fra Nicola da Tursi - decise di edificarvi la chiesa di Santa Maria del Lago. Il nome forse deriva dalle acque che alimentavano le terme di età romana. Dal 1537 per i successivi tre anni accolse le clarisse di Santa Maria delle Donne fuori Porta Romana, ma ben presto il complesso tornò alla sua originaria destinazione. Correva l’anno del Signore 1540 quando entrai in scena, su incarico di papa Paolo III Farnese che mi chiese di erigere una fortezza militare a guardia dei ponti orientali della città. In quegli anni ero l'architetto di riferimento a Roma: dopo aver lavorato nella bottega del Bramante, ho sostituito Raffaello nella direzione dei lavori della fabbrica di San Pietro. Paolo III, nel 1536, mi ha nominato architetto di tutte le fabbriche pontificie. Che soddisfazione! 

Qui innalzai questa fortezza con due speroni che assumono la forma di ali di gabbiano. Mi superai! Il progetto fu realizzato molto speditamente. Non previdi la demolizione della chiesa, mi avrebbe fatto perdere troppo tempo. Allora decisi di sfruttarla, la tramutai in mastio, e la inglobai nel nuovo progetto. Già nel 1543 le prime truppe presero possesso della struttura. Dopo i miei interventi, però, fu modificata più volte. Nel 1798 divenne una caserma, e a partire dal 1836 iniziarono i lavori per l’adeguamento del forte a carcere. Rimase tale fino al 1981.

È giunto il momento di iniziare il nostro percorso di visita.

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Voce Narrante: Antonio da Sangallo il Giovane
Interprete: Pino Presciutti

Chi meglio di me può raccontarti i segreti di questo monumento fortificato? Partiamo dal PASSEGGIO, uno spazio aperto in cui i detenuti più pericolosi godevano della loro ora d’aria. Proprio nel periodo in cui la “rocchetta” fu carcere, il piano di calpestio della chiesa divenne un magazzino di pertinenza delle cucine posizionate sotto le scale. Il portale interno dell’ambiente sacro è invece quello che vediamo appena scesi dalle scale proprio sulla destra. Si contraddistingue per il sole raggiato che racchiude il trigramma, l’abbreviazione latina del nome greco di Gesù. Più avanti ti mostrerò come ho modificato la chiesa...

Sai, quando giunsi ad Ascoli nel 1540, non era certo la prima volta! C'ero già stato qualche anno prima su ordine di un altro papa, Clemente VII. In quell'occasione avevo ricevuto il compito di ispezionare la città per fortificarla contro un’eventuale invasione turca. Non se ne fece nulla fin quando non si verificarono degli scontri tra gli ascolani e il vicelegato pontificio. A quel punto, morto Clemente, e nominato papa Paolo III, ricevetti quest’incarico.

Ammira, non è un’opera magnifica? Degna di un architetto e non di un legnaiolo, mestiere che imparai nella fanciullezza e che purtroppo mi perseguitò… motivo per cui Giorgio Vasari e Michelangelo non mi considerarono per un periodo. Ma lasciamo perdere, questa è un'altra storia.

Mio buon visitatore, volgiamo ora lo sguardo al di sopra della scalinata da cui siamo scesi, e osserviamo l’affresco. Indovina che cosa è raffigurato al centro della composizione? Lo stemma del mio committente: i sei gigli araldici blu su fondo oro della famiglia Farnese.

Ora avanziamo verso l’interno. Superiamo la porta di ferro e cominciamo la salita.

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Voce Narrante: Antonio da Sangallo il Giovane
Interprete: Pino Presciutti

Giunti al mezzanino, voltiamoci a sinistra. Il piccolo vano che vedi accoglieva la latrina, proprio come si evince dalla scritta ancora parzialmente leggibile in alto. Risale all’epoca del carcere.

Bene, entriamo nella sala sulla destra e accediamo alla PRIMA SEZIONE. Questa sala centrale nel periodo del carcere era adibita a cappella, ed era l’unico spazio comune. Tutt’intorno erano disposte le celle dei detenuti, caratterizzate - come voi stessi potete vedere - da spioncini e doppie porte. Avanzando, notiamo alla nostra sinistra un affresco, era relativo al monastero. Dicono che gli stemmi raffigurati fossero legati alle famiglie delle badesse, o alle famiglie benefattrici più importanti. In alto si intravede una Madonna in trono con Bambino, mentre in basso - avvicinandoti un poco - riuscirai a intercettare alcune parole incise dai detenuti.

Proseguiamo dritto ed entriamo nella parte innovativa della struttura: l’ALA DI GABBIANO con funzione difensiva, e ovviamente l’ho progettata io. Guarda bene, sul lato destro si aprono diverse feritoie oblique. Queste offrivano a chi difendeva la fortezza il vantaggio di poter agire in maniera indisturbata contro il nemico, mentre non permettevano a chi tentava l’assalto di penetrare lo stretto pertugio. Un sistema davvero brillante, non è vero? Ora, però, ti svelo un segreto. Le feritoie sono collocate soprattutto sul lato destro del muro, quello che permetteva di controllare la città. Sull’altro fianco le aperture che si affacciano sul fiume sono davvero esigue. Il motivo? Semplice, il papa temeva più un attacco interno, da parte cioè degli ascolani, che uno esterno attraverso il ponte di Cecco. Come dici? Vuoi maggiori informazioni su quella passerella che hai avuto modo di ammirare dal ponte di Porta Maggiore? Devi fare appello alla tua pazienza, più avanti avremo modo di discuterne in maniera più approfondita.

Adesso usciamo e proseguiamo il giro. 

Tornando alla sala conferenze, ti invito a seguirmi e a procedere verso sinistra. Il vano che si apre dinanzi a noi era un antico AFFACCIO ALLA CHIESA, utilizzato dalle suore per assistere alla funzione religiosa. Avvicinati, la visuale oggi è bloccata dalla volta che ho deciso di erigere. Inoltre, come puoi notare ho sfruttato la verticalità della chiesa dividendola in piani. Taci, bocca mia! Non voglio anticiparti nulla, poiché la vedremo più avanti. Aggiungo solo che questa stanza fu poi murata e utilizzata come cella.

Scalpellino, cosa state facendo? Per tutte le volte a crociera, non è così che si lavora!

Voce fuoricampo: "Maestro Sangallo, abbiamo un problema, accorrete!"

Chiedo venia, mio buon visitatore, ma devo controllare cosa stanno combinando gli operai. Ti prego, sii clemente, e sali fino al primo piano. Ti raggiungerò una volta sbrigata questa impellente faccenda. Quanta incompetenza oggigiorno! 

Eccomi! Queste maestranze senza di me sono perse... ma torniamo al racconto.

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Voce Narrante: Antonio da Sangallo il Giovane
Interprete: Pino Presciutti

Nel 1835 il primo piano fu interessato da importanti lavori di riadattamento, dovuti alla trasformazione del forte in penitenziario. Le prime due stanze sulla sinistra sono di dimensioni maggiori, ed erano rispettivamente destinate ai sottufficiali e agli ufficiali, mentre le altre che vedi, erano le celle dei detenuti.

Entriamo nel locale degli ufficiali e affacciamoci alla finestra. Vedi quel ponte? Sì, esatto! È quello che ti ho menzionato prima. Si tratta con ogni probabilità del primo ponte in muratura della città. Permetteva alla Salaria, nota via consolare, di proseguire fino alla costa adriatica. Il nome ne tradisce lo scopo! Era impiegata infatti per il trasporto del sale, e collegava Roma alla città di Castrum Treuntinum, l'attuale Martinsicuro.

Come anticipato, questa costruzione è nota come Ponte di Cecco o Ponte del diavolo. Lì non c’è traccia del mio intervento, ma te ne parlerò comunque. Sulla sua origine aleggia una misteriosa leggenda che vede come protagonista Francesco Stabili, meglio conosciuto come Cecco d’Ascoli. Fu poeta, astronomo, astrologo e negromante, condannato al rogo nel 1327 come eretico. Mi hanno riferito che mentre le fiamme lo stavano inghiottendo, con estrema lucidità non rinnegò le proprie idee, ma anzi gridò: “L’ho detto, l’ho insegnato, lo credo!”. Che temperamento, eh? Comunque, tornando al ponte, secondo la tradizione riuscì a completarlo in una sola notte grazie all'aiuto del demonio. Io non ho conosciuto Cecco, era coetaneo di Dante Alighieri. È vissuto molto prima che io nascessi, però ritengo che questa fosse una menzogna ben architettata con lo scopo di infangare ulteriormente la sua reputazione. Pare infatti che la struttura di epoca romana, sia stata restaurata nel 1349 da un tale Mastro Cecco Aprutino, e da qui sarebbe nato l'equivoco. Durante la Seconda Guerra Mondiale le truppe tedesche tentarono di distruggerlo facendolo saltare in aria, ma riuscirono nel loro intento solo parzialmente. L’aspetto che vediamo oggi è una fedele ricostruzione avvenuta tra il 1960 e il 1970 con gli stessi blocchi di pietra rinvenuti nel sottostante fiume Castellano. 

Ricordi Galeotto Malatesta? Come sottolineò un abate ascolano, talvolta questa via di collegamento veniva denominata anche Ponte delle sortite poiché il tiranno, quando fu costretto a filarsela di gran lena dalla città, usò proprio tale via di fuga.

Usciamo e avanziamo verso sinistra. Superiamo il secondo locale, quello degli ufficiali, e proseguiamo diritto. Le stanze strette che vedi, mio caro visitatore, erano le celle. Tutte avevano una doppia chiusura, e alle finestre presentavano le tipiche “bocche di lupo” che impedivano ai carcerati di avere una visuale completa dell'esterno. Questo carcere aveva la fama di essere uno dei più duri e invivibili d’Italia. L’edificio non aveva vetri alle finestre, non disponeva di riscaldamenti o letti, e la vicinanza del fiume di certo rendeva gli ambienti piuttosto umidi. Tali condizioni non migliorarono prima della riforma degli Anni '70, che assicurò ai detenuti il diritto ad abitare uno spazio salubre.

Ahimè, ai vostri giorni tutto ciò può sconvolgere, ma ai miei tempi certe situazioni erano del tutto normali, o quasi.

Ma torniamo a noi... il Forte poteva contenere un totale di 60 detenuti, per lo più in attesa di giudizio, quindi il tempo di permanenza poteva andare da pochi mesi a 4-5 anni. 

La piccola stanza che stai osservando era la cella d’isolamento. Entra pure per immedesimarti nei detenuti qui rinchiusi, ne hai il coraggio?

Torniamo indietro. Bada bene, sulla sinistra ci sono degli scalini in legno e si intravede una colonna.

Entra e prosegui fino ad arrivare al ballatoio. Questa era la CANTORIA, il punto da cui le suore innalzavano i canti sacri, per l’appunto. Quella che vedi di fronte a te è la chiesa di Santa Maria del Lago con volta a toro. Prima del mio arrivo era un unico spazio aperto. Io l'ho diviso in tre piani per motivi di staticità. Questo di cui vediamo un'anteprima è il livello centrale e vi accederemo in seguito.

La chiesa risulta molto particolare, è dodecagonale, e richiamerebbe la forma delle vasche termali romane, su cui probabilmente vennero poggiate le fondamenta dell’edificio sacro. Oggi non si hanno testimonianze certe della presenza delle terme romane. Abbiamo solo degli indizi che ci lasciano pensare che fossero presenti, come ad esempio il nome della via che conduce al forte o la denominazione della chiesa stessa che fa riferimento al lago, in latino lacus: vasca, cisterna. Vi è inoltre un documento del 1776 che allude a un camerone con bacini e una piccola fonte. Queste terme dovevano essere alimentate da un condotto sotterraneo di acqua salmacina proveniente da Castel Trosino.

Immagina, mio caro visitatore, che viavai di romani c'era qui! Alcuni impegnati nel trasporto del sale, altri che transitavano sulla via consolare per diverse questioni di natura commerciale, e altri ancora che venivano alle terme per godere dei benefici di quest'acqua dalle strepitose proprietà... eh, tutta un'altra epoca!

Ora facciamo un passo avanti rispetto all'epoca romana e torniamo al 1501, quando venne costruita la chiesa di Santa Maria del Lago. Ad un certo punto si rese necessario ricavare un vano per il coro che non andasse a ridurre il poco spazio a disposizione, e fu per questo motivo che la cantoria venne posizionata qui. Per quanto riguarda i miei interventi: io ho modificato la chiesa in mastio e ho realizzato la volta a toro che, come potete notare, è composta, suddivisa in porzioni identiche, e unisce l’imponente pilastro centrale con i muri circostanti. Non ti ricorda la forma di un ombrello? È l'unica parte dell’opera difensiva in laterizio. Devo ammettere con un pizzico di superbia che ancora oggi sono davvero fiero del risultato.

Riprendiamo la visita. Abbiamo ancora tanto da vedere!

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Voce Narrante: Antonio da Sangallo il Giovane
Interprete: Pino Presciutti

Torniamo indietro, e svoltiamo a sinistra. Vedi la scalinata? Conduce al Museo dell’Alto Medioevo. Questo piano non c'era nel mio progetto. Fu aggiunto nel XVIII secolo, quando il forte divenne caserma. Nel periodo del carcere lì erano distribuite le docce, l'infermeria, e trovavano sistemazione anche altri detenuti. Oggi invece tutto l’ambiente accoglie i reperti che vanno dall'epoca tardo antica al periodo longobardo. Mai avrei pensato che nel mio capolavoro architettonico vi venissero alloggiati i tesori di un’era così lontana...

Dunque, venite. Saliamo insieme le due rampe di scale. Ogni sala presenta una numerazione. Inizia il tuo percorso con la numero I, si trova sulla sinistra. Poi, torna indietro, sali i gradini e prosegui con II, III e IV sala. In ultimo accederai alla cupola della chiesa, la numero V. Io ti aspetterò al primo piano, non posso accompagnarti. I doveri mi chiamano, ma tu fai con calma... vai, e goditi quest’ulteriore tuffo nel passato. A più tardi. (distrazione sonora)

Bentornato al primo piano, gentile ospite! Spero che il tour nell’Alto Medioevo ti sia piaciuto. Ora procediamo.

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Voce Narrante: Antonio da Sangallo il Giovane
Interprete: Pino Presciutti

Avanziamo per un breve tratto, poi giriamo a sinistra e accediamo all'ultima parte del forte. Lungo questo stretto corridoio, grazie alle ampie finestre, puoi ammirare i due differenti paramenti murari, quello della chiesa sulla destra risulta indubbiamente più curato rispetto a quello della fortezza sulla sinistra che appare meno rifinito. Anche se entrambi sono in travertino, mettono in luce i due differenti periodi di costruzione. Certo, sono organismi diversi, eppure complementari!

Adesso accediamo alla parte femminile del carcere. Le due sezioni erano separate da una porta con serratura. Anche stavolta non ti accompagnerò, preferisco aspettare qui, e controllare i lavori dei miei uomini. Troverai le celle delle donne, le quali erano rinchiuse tutte insieme. Quando hai concluso il giro, scendi di nuovo le scale. 

Eccoti! Ben ritrovato. Adesso dal mezzanino imbocchiamo la porta a sinistra, l’unica prima della scalinata che conduce all’ingresso. Procediamo fino agli scalini in legno, e poi scendiamo. Buon visitatore, fai attenzione alla testa, per favore. Il soffitto è molto basso!

Riconosci questo posto? È il livello centrale della chiesa di Santa Maria del Lago, l'abbiamo intravisto dalla cantoria, ricordi? Al centro si erge la mia colonna in travertino che sostiene la volta a toro. Da qui si riescono ad ammirare bene anche le bifore con ghiera trilobata a doppia strombatura, una tecnica che prevedeva il taglio in obliquo dello stipite con lo scopo di convogliare meglio la luce all'interno. Ricorda, ai tempi della chiesa, questo piano e la colonna non esistevano. Era un unico spazio aperto! Avviciniamoci all’apertura della cantoria. Riesci a leggere l'iscrizione? Ti aiuto io, c’è scritto: “CANTATE DOMINUM CANTICUM NOVUM QUIA MIRABILIA FECIT DOMINUS”, ossia “CANTATE AL SIGNORE UN CANTO NUOVO, PERCHÉ HA FATTO MERAVIGLIE”. È una frase tratta dai Salmi che ben si adattava alla funzione dell’ambiente sovrastante.

Un’altra iscrizione molto interessante si trova all’esterno, su uno dei portali rinascimentali della chiesa. Sull’architrave due angeli si librano in volo, e stringono fra le mani una corona di lauro. Al suo interno campeggia la Vergine che adora il Bambino in grembo, mentre al di sopra si legge: “Thesaurus Absconditus Est In Hoc Loco”, “In questo luogo è nascosto un tesoro”. Forse fu opera dell’architetto lombardo Bernardino di Maestro Pietro da Carona, ma chissà a cosa facesse riferimento?

Ora usciamo da qui. Saliamo i gradini facendo sempre attenzione alla testa, e torniamo nel mezzanino. Stavolta prendiamo la scalinata discendente e dirigiamoci all'uscita. Vedi queste scale? Sono originali cinquecentesche, e autoportanti. Si tratta di blocchi in travertino lavorati singolarmente e incastonati nel muro. Il peso di ogni gradino grava sull'altro, perciò sono antisismiche e ancora in perfetto stato.

Scendendo, torneremo all'ingresso del museo.

Il nostro giro si è concluso, spero che le mie parole ti siano state d'aiuto durante la scoperta di questa massiccia opera difensiva. Il Forte Malatesta ci ha fatto viaggiare indietro nel tempo, ci ha permesso di incontrare i Romani, i Longobardi, Galeotto Malatesta, fra Nicola da Tursi, e papa Paolo III Farnese... ma ora è tempo di separaci, ti lascio tornare alla realtà. Arrivederci, mio buon visitatore. Non dimenticare questo luogo misterioso e solenne, porta con te le emozioni che ti ha… sprigionato!